Straordinario nell’ordinario

Un nuovo articolo di Veronica Brescianini, volontaria SVE nel progetto “A Step in Plus” (2014-3-RO01-KA105-013261), finanziato con il supporto del programma Erasmus+ dell’Unione Europea.

– “Guarda che c’è posto, siediti vicino a lui”

– “Ma lui non è mio amico”.

Passa una manciata di secondi.

– “Sei mio amico?”

La giornata, oggi, inizia così. Siamo nella stanza dei piccoli, anche se di piccoli ce ne sono pochi. Ricapitoliamo ciò di cui si è parlato il giorno prima, per tenere aggiornati gli assenti. E già mi stupisco quando, dopo aver dato un solo minuscolo indizio, M. mi dice: “Gata, știu”, ossia: “Basta, lo so”. Ha ragione: spesso è sufficiente poco per capire. Giochiamo con i numeri, associandoli ad alcune immagini. E mi stupisco ancora di quanto le nostre menti possano inventare somiglianze. Credo che per molto tempo assocerò il numero tre ad un covrig mangiato. La scheda didattica propone una serie di farfalle piene di macchie e la consegna chiede che, ad ogni animale, si faccia coincidere il numero di macchie corrispondenti. M. fa un po’ fatica, sembra non riuscirci e vedere molte più macchie di quelle reali. L’altro volontario gli si avvicina e, delicatamente, prende il suo indice. Insieme iniziano a numerare. Al termine, il ragazzo stringe la mano del bambino. Il cuore mi si apre. Quando incontri realmente qualcuno, ti leghi, in un modo o nell’altro. E il legame delle mani strette profuma di tenerezza. Se non conoscessi un poco la storia di quel bambino e se non avessi vissuto quattro mesi con il ragazzo volontario, non so se avrei provato tanta emozione. L’altro bimbo, al termine, tenta di scrivere il suo nome. Mi chiede aiuto, come già aveva fatto nei giorni scorsi. Gli indico il suo nome scritto sul nostro cartellone delle presenze e lui, senza suggerimenti, lo copia. Mentre scrive l’ultima lettera, si accorge di averla chiusa un po’ troppo, tanto da farla sembrare una “o” tonda tonda. Ride e mi chiede di indicargli quella giusta. Per aiutarlo, rovisto nelle mie ingarbugliate traduzioni linguistiche e gli dico che l’ultima lettera del suo nome è a forma di sorriso. Il sorriso di ritorno che ricevo parla di gratitudine.

Se mi si chiedesse ora il perché del mio essere qui, avrei una nuova risposta. Del resto simile a ciò che, già in passato, mi ha spinto ad affacciarmi curiosa verso la sfera educativa. Ho accompagnato la mia partenza con la domanda: “Perché no?”. E, nei giorni un po’ più faticosi, ho provato a presentarmi al centro Pinocchio, cercando di domandarmi se esistesse qualcosa di veramente più importante per il quale fosse doveroso rifiutare l’offerta. Ora, invece, a metà del mio servizio, la domanda cambia in: “Perché sì?”. E quest’interrogativo scende più in profondità, in modo talvolta disarmante; scava dentro le motivazioni di partenza e a quelle nate nel cammino e le rivisita nella quotidianità; aiuta a mettere a fuoco alcuni obiettivi per porre dei passi in avanti; allarga le braccia ai sorrisi, alle mani sporche, allo stupore e alla vita.

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